L’inconscio1918 |
Il termine «inconscio» assume per l'orecchio del profano un senso alquanto metafisico e misterioso. Questa caratteristica, che si collega alla concezione di inconscio nel suo insieme, nasce soprattutto dal fatto che il termine fu introdotto nel linguaggio ordinario per indicare un'entità metafisica. Per esempio, Eduard von Hartmann chiamava l'inconscio «fondamento universale». Inoltre l'occultismo ha fatto sua questa parola, perché coloro che seguono certe tendenze sono felicissimi se possono prendere a prestito parole scientifiche, appunto per dare un'aria di «scienza» alle loro speculazioni. In opposizione a tutto ciò, gli psicologi sperimentali, che per molto tempo si sono considerati, e non a torto, gli unici rappresentanti della vera psicologia scientifica, hanno assunto un atteggiamento negativo nei confronti del concetto di inconscio, partendo dalla premessa che tutto ciò che è psichico è cosciente e che soltanto alla coscienza spetta il nome di «psiche». Costoro ammettevano che i contenuti psichici coscienti presentano livelli di chiarezza differenti, taluni essendo più chiari, altri più oscuri, negando pur sempre l'esistenza di contenuti inconsci come una contraddizione in termini. Era questa una concezione derivata soprattutto dal fatto che il lavoro di laboratorio era limitato ai sou individui «normali», oltre che dalla natura intrinseca degli esperimenti. Questi si occupavano, per quanto possibile, dei processi psichici più elementari, mentre mancava quasi del tutto l'indagine rivolta alle funzioni psichiche più complesse, che, per le loro caratteristiche, non si prestano a procedimenti sperimentali che comportino misurazioni precise. Ma un altro fattore, immensamente più importante di questi due, consisteva nella separazione tra psicologia sperimentale e psicopatologia. In Francia, gli psicologi, fin dal tempo di Ribot, seguivano con attenzione ì fenomeni psichici anormali, e uno studioso tra i più eminenti, Binet, è persino giunto ad affermare che la psiche ammalata esagerava certe deviazioni dalla norma, di difficile interpretazione, e, col metterle in risalto, ne facilitava la comprensione. Un altro psicologo francese, Pierre Janet, che lavorava alla Salpêtrière, si dedicò pressoché esclusivamente, e con grande successo, allo studio elei processi psicopatologici. Del resto sono proprio i processi psichici abnormi quelli che dimostrano conia massima chiarezza l'esistenza di un inconscio. Fu per questa ragione che i medici, specialmente gli specialisti del campo delle malattie psichiche, presero a sostenere l'ipotesi dell'inconscio, propugnandola col massimo ardore. Ma, mentre in Francia la psicologia era notevolmente arricchita dalle scoperte della psicopatologia, per cui era ormai pronta ad accogliere il concetto di «processi inconsci», in Germania fu invece la psicologia ad arricchire la psicopatologia, fornendole molti metodi sperimentali, senza, peraltro, sostituirsi alla psicopatologia nello studio dei fenomeni patologici. Questo rende ragione, in larga misura, del perché la psicopatologia tedesca abbia subito un processo evolutivo alquanto differente da quello della psicologia francese. A prescindere dall'interesse suscitato nei circoli accademici, essa entrò a far parte dei compiti del medico pratico, che era obbligato dalla sua attività professionale a comprendere i complessi fenomeni psichici presentati dai pazienti. In questo modo si formò quell'insieme di concezioni teoriche e tecnico-pratiche che va sotto il nome di «psicoanalisi». In seno al movimento psicoanalitico il concetto di inconscio andò incontro a un ampio sviluppo, assai maggiore che nella scuola francese, che si occupava più delle vane forme in cui si manifestano i processi inconsci che del loro meccanismo causale e del loro contenuto specifico. Quindici anni or sono, indipendentemente dalla scuola freudiana e in base a ricerche sperimentali personali, io mi convinsi dell'esistenza e importanza dei processi inconsci, indicando nel contempo i metodi per la rilevazione di tali processi. Più tardi, con la collaborazione di numerosi allievi, riuscii anche a dimostrare la portata dei processi inconsci nel paziente psichiatrico. In seguito a ciò, l'iniziale sviluppo puramente clinico del concetto di inconscio conferì a quest'ultimo un colorito derivante dalle scienze naturali, e nella scuola freudiana esso è rimasto un concetto puramente clinico. Secondo le opinioni di questa scuola, l'uomo, in quanto essere civilizzato, non è più in condizione di sfogare un gran numero di desideri istintivi, per la semplice ragione che questi non sono compatibili con la legge morale. Egli, quindi, dato che vuole adattarsi alla società, è costretto a reprimere questi desideri. Il presupposto che l'uomo abbia certi desideri è pienamente plausibile e ciascun individuo può, con un po' di onestà, comprovare in se stesso questa verità. Ma, di solito, questa intuizione non si spinge oltre l'affermazione generica che vi sono dei desideri incompatibili e inammissibili sotto il profilo sociale. Ma l'esperienza dimostra che, quando si prendano in considerazione i singoli casi, i fatti sono molto differenti. In questi casi è abbastanza interessante l'osservazione che molto spesso, in seguito alla repressione di un desiderio inammissibile, la sottile connessione tra desiderio e coscienza si spezza, così che il desiderio diventa inconscio. Esso viene dimenticato e il suo posto è preso da una giustificazione più o meno razionale, se pure viene affatto cercata una motivazione. Questo processo, per cui un desiderio inammissibile diventa inconscio, è chiamato rimozione, che deve essere tenuta distinta dalla repressione, quest'ultima presupponendo che il desiderio sia rimasto cosciente. Per quanto rimosso e dimenticato, il contenuto psichico incompatibile — che può essere costituito da desideri oppure da ricordi dolorosi — seguita tuttavia ad esistere e la sua inavvertita presenza influisce sui processi coscienti. Tale influenza si estrinseca sotto forma di particolari disturbi delle funzioni coscienti normali. È importante rilevare che essi non sono limitati ai processi puramente psicologici, ma si estendono anche a quelli fisiologici. In questo caso, secondo quanto è stato messo in evidenza da Janet, il perturbamento non colpisce mai le componenti elementari della funzione, bensì soltanto l'applicazione volontaria della funzione in diverse situazioni. Per esempio, una componente elementare della funzione nutritiva è rappresentata dalla deglutizione. Se in un determinato soggetto l'assunzione di qualsiasi alimento sia liquido che solido si accompagnasse regolarmente a un accesso di soffocazione, allora ci troveremmo di fronte a un disturbo di ordine anatomico od organico. Ma se l'accesso comparisse solo con cibi particolari, o in corrispondenza di determinati pasti, o esclusivamente in presenza di certe persone, oppure in occasione di speciali stati d'animo, allora avremmo a che fare con un perturbamento di origine nervosa, o psicogeno. Quindi, questo genere di perturbamento influenza l'azione dell'ingerimento del cibo solo in particolari condizioni psicologiche, non fisiche. Certi disturbi delle funzioni fisiologiche sono particolarmente frequenti nell'isteria. In un altro gruppo di malattie, non meno esteso, chiamato psicastenia dai medici francesi, si trovano invece disturbi esclusivamente psicologici. Essi possono assumere una grande varietà di forme, quali idee ossessive, stati di ansia, depressioni, malumore, fantasie, emozioni e impulsi patologici, ecc. Alla base di tutti questi sintomi si trovano contenuti psichici rimossi, vale a dire contenuti diventati inconsci. Grazie a queste osservazioni puramente empiriche, ha preso consistenza a poco a poco il concetto di inconscio quale sommatoria di tutti i desideri incompatibili e rimossi, oltre che di tutti i ricordi dolorosi e rimossi. Ora, è facile dimostrare che la stragrande maggioranza di questi contenuti incompatibili è legata al fenomeno della sessualità. La sessualità è una pulsione fondamentale che, come tutti sanno, è più di ogni altra circondata da un alone di segretezza e da sentimenti di discrezione. Sotto forma di amore, è causa delle emozioni più tempestose, delle più selvagge bramosie, delle più profonde disperazioni, dei più intimi dolori e, soprattutto, delle più dolorose esperienze. La sessualità è un'importante funzione fisica e psichica, abbondantemente ramificata, dalla quale dipende tutto l'avvenire dell'umanità. Dunque la sua importanza è almeno tanto grande quanto quella della funzione nutritiva, pur trattandosi ai una pulsione i tutt'altra natura. Ma mentre possiamo permettere che la funzione nutritiva, dal divorare un semplice pezzo di pane fino al banchetto ufficiale, si esplichi alla luce ael sole in tutte le sue variazioni — tutt'al più dovendo essere tenuta a freno per un attacco di catarro intestinale o per via di un generale razionamento dei viveri —, la sessualità ricade sotto un tabù morale e deve sottostare a molte restrizioni e regolamentazioni legali. Non è liberamente disponibile per l'individuo come la funzione alimentare. Quindi è comprensibile come intorno a questo problema si accumulino moltissimi interessi urgenti e potenti emozioni, perché queste si manifestano abitualmente là dove l'adattamento è meno completo. Per di più, come ho detto, la sessualità è un istinto fondamentale in ogni essere umano e questa è una ragione sufficiente perla ben nota teoria freudiana che riduce tutto alla sessualità e delinea un quadro dell'inconscio che lo fa apparire come una specie di ripostiglio dove sono ammassati tutti i desideri infantili rimossi e inammissibili e tutti i reprensibili desideri sessuali degli anni successivi. Perdi più, come ho detto, la sessualità è una pulsione-funzione da tenersi nel giusto conto se si vogliono scoprire tutte le cose che Freud ha introdotto nel concetto di sessualità. Allora vediamo che egli ne ha allargato i confini molto al di là dei limiti ammissibili, per cui un termine più idoneo a definire ciò che Freud vuole veramente intendere sarebbe «eros», secondo l'antica accezione filosofica di Pan-Eros che permea tutta la natura come forza creativa e generatrice. Dunque in questo senso «sessualità» è un'espressione quanto mai infelice. Ma ormai il concetto di sessualità è stato configurato in questo modo e i suoi limiti appaiono talmente definiti, che si nmane addirittura in forse se impiegare come sinonimo la parola «Amore». Però lo stesso Freud, come è facile rilevare dai suoi scritti, molte volte, quando parla semplicemente di sessualità, intende «amore». Tutta la corrente freudiana è una ferma sostenitrice della teoria sessuale. Certo che non esiste pensatore o studioso, libero da pregiudizi, che non riconosca immediatamente la straordinaria importanza delle esperienze e dei conflitti sessuali o erotici. Però non si potrà mai provare che la sessualità è l'istinto fondamentale e il principio informatore della psiche umana. Invece qualsiasi scienziato libero da pregiudizi ammetterà che la psiche è una struttura estremamente complessa. Per quanto la si possa studiare da un punto di vista bio- ogico, cercando di spiegarla in termini di fattori organici, essa ci appare circondata da infiniti altri enigmi la cui soluzione ha delle esigenze che nessuna scienza singolarmente presa, come la biologia, è in grado di soddisfare. Per quanto i biologi possano, presentemente o in avvenire, ipotizzare istinti, pulsioni e dinamismi, è certo che sarà assolutamente impossibile indicare in un istinto nettamente definito, come la sessualità, il principio causale fondamentale. La biologia, scienza veramente generale, ha ormai superato questo stadio: noi non riconduciamo più ogni cosa a un'unica forza manifesta, come facevano i pnmi scienziati con il flogisto e la elettricità. Abbiamo imparato ad avvalerci di una più modesta astrazione, chiamata energia, come di principio esplicativo di tutte le variazioni quantitative. Io sono convinto che un atteggiamento effettivamente scientifico in psicologia deve similmente portare alla conclusione che i processi dinamici della psiche non possono essere ricondotti a questo o quell'istinto concreto, altrimenti ci ritroveremmo allo stadio della teoria del flogisto. Ci vedremmo obbligati a prendere le pulsioni quali parti costituenti la psiche e quindi a derivare per astrazione il nostro principio esplicativo dai loro reciproci rapporti. Per questo ho insistito sul fatto che faremmo bene a postulare una quantità ipotetica, un'energia quale principio esplicativo psicologico, dandogli il nome ai «libido» nel senso classico della parola senza nutrire alcun pregiudizio circa la sua sostanzialità. Con l'aiuto di tale quantità, i processi psicodinamici potrebbero essere spiegati in modo ineccepibile senza quell'inevitabile distorsione comportata necessariamente da una base di spiegazione concreta. A questo proposito, quando la scuola freudiana spiega che i sentimenti religiosi, o qualsiasi altro sentimento appartenente alla sfera spirituale, «altro non sono che» desideri sessuali inammissibili prima rimossi e poi «sublimati», essa adotta un modo di esprimersi equivalente a quello di un fisico che dicesse che l'elettricità «altro non è che» una cascata d'acqua che qualcuno ha preso e immesso in una turbina. In altri termini, si potrebbe arrivare ad affermare che l'elettricità «non è altro che» una cascata d'acqua «alterata dalla civiltà»; ma questo è un modo di argomentare che, mentre potrebbe essere verosimilmente avanzato dalla Società per la preservazione della natura primordiale, certamente non è un esempio di ragionamento scientifico. In psicologia una spiegazione del genere sarebbe appropriata solo se si potesse provare che il fondamento dinamico del nostro essere è esclusivamente la sessualità, ciò che equivarrebbe ad affermare, in fisica, che l'elettricità può essere prodotta solo dall'acqua che cade. In tal caso si potrebbe sostenere a buon diritto che l'elettricità è una cascata di acqua incanalata lungo dei fili. Dunque se respingiamo la teoria esclusivamente sessuale dell'inconscio e, al suo posto, poniamo una concezione energetica della psiche, potremo dire che l'inconscio contiene tutto quel che, di psichico, non ha raggiunto la soglia della coscienza o la cui carica energetica non è sufficiente a mantenerlo nella coscienza o che perverrà alla coscienza solo in avvenire. E ora possiamo rappresentarci la costituzione della coscienza. Già abbiamo preso conoscenza delle idee rimosse quali contenuti dell'inconscio e a queste dobbiamo aggiungere tutto quello che è stato dimenticato. Quando una data cosa viene dimenticata, questo non significa che sia estinta, ma semplicemente che il ricordo ne è diventato inconscio. La sua carica di energia è talmente diminuita che la cosa non può più manifestarsi nella coscienza, ma, per quanto sia andata perduta per la coscienza, non è perduta per l'inconscio. Ovviamente si potrà obiettare che questa è semplicemente una façon de parler. Perciò desidero chiarire con un esempio ipotetico quel che voglio dire. Supponiamo che vi siano due persone, delle quali una non ha mai letto un libro, mentre l'altra ne ha letti mille. Sopprimiamo dalla mente di entrambe ogni ricordo degli ultimi dieci anni, durante i quali la prima persona semplicemente viveva, mentre la seconda leggeva i suoi mille libri. A questo momento tutte e due saranno ugualmente ignoranti, però chiunque sarà in grado di scoprire quale dei due ha letto i libri e, si badi bene, li ha capiti. L'esperienza della lettura, quantunque dimenticata da molto tempo, lascia dietro di sé delle tracce nelle quali si possono ravvisare le vestigia del passato. Questa durevole influenza indiretta dipende da una fissazione delle impressioni che sono tutte conservate, anche quando non sono più in grado di riemergere nella coscienza. Oltre alle cose che sono state dimenticate, nel contenuto dell'inconscio si trovano anche le percezioni subliminali. Esse possono essere sensopercezioni rimaste al di sotto della soglia di stimolo dell'udito cosciente o nel campo della visione periferica. Oppure si può trattare di appercezioni, termine con cui intendiamo le percezioni di processi endopsichici o esterni. Tutto questo materiale forma l'inconscio personale. Lo definiamo personale perché consiste interamente di acquisizioni derivanti dalla vita dell'individuo. Quindi, allorché un elemento qualsiasi cade nell'inconscio, viene preso nella rete delle associazioni formate dal materiale inconscio. In questo caso possono prodursi connessioni associative di elevata intensità, che emergono o risalgono nella coscienza sotto l'aspetto di ispirazioni, intuizioni, «idee felici», ecc. Però il concetto di inconscio personale non ci consente di afferrare pienamente la natura dell'inconscio. Se questo fosse esclusivamente individuale, in teoria sarebbe possibile far risalire tutte le idee deliranti di un folle alle sue personali impressioni ed esperienze. Senza dubbio una notevole percentuale del materiale costituente queste idee potrà essere fatta risalire alla sua storia personale, ma vi sono talune idee di cui invano cercheremmo l'origine nella storia privata dell'individuo. Di che genere di idee si tratta? Si tratta, in breve, di fantasie mitologiche, che non corrispondono ad alcun avvenimento o esperienza della vita personale dell'individuo, bensì solo a dei miti. Se queste idee non scaturiscono dall'inconscio personale, e quindi dalle esperienze della vita individuale, da dove dunque proverranno? Senza dubbio dal cervello, ossia proprio dalla struttura cerebrale ereditaria e non da tracce mnestiche individuali. Tali fantasie hanno sempre un carattere fortemente originale e «creativo». Sono simili a creazioni nuove che derivano evidentemente dall'attività creativa del cervello e non semplicemente dalla sua capacità rievocativa. Insieme con il corpo noi riceviamo un cervello altamente differenziato che porta in sé tutta la sua storia e, quando diventa creativo, crea traendo il materiale dalla sua propria storia, che è la storia dell'umanità. Per «storia» intendiamo di solito la storia che «facciamo» e che chiamiamo «storia obiettiva». L'attività veramente creativa del cervello non ha nulla a che fare con questo genere di storia, ma esclusivamente con l'antichissima storia naturale trasmessa in forma vivente fin dai tempi più remoti, la storia cioè della stessa struttura cerebrale. E questa struttura narra la sua storia dell'umanità: il mito, che sempre ritorna, della morte e della rinascita e delle infinite figure che fluttuano attorno a questo mistero. L'inconscio, affondato nella struttura del cervello, che svela la sua presenza vivente solo attraverso la mediazione della fantasia creatrice, è l'inconscio sovrapersonaìe. Esso si anima nell'uomo dotato di facoltà creative, si rivela nella visione dell'artista, nell'ispirazione del pensatore, nell'intima esperienza del mistico. L'inconscio personale, immanente nell intera struttura cerebrale, è come uno spirito onnipervadente, onnipossente, onnisciente. Conosce l'uomo quale è stato da sempre, non quale è in questo istante; lo conosce come un mito. Anche per questo il legame con l'inconscio sovrapersonale o collettivo rappresenta un'estensione dell'uomo di la da se stesso; significa morte per il suo essere individuale, ma rinascita in una nuova dimensione, quale era letteralmente rappresentata in alcuni antichi misteri. È certamente vero che, senza il sacrificio dell'uomo qual è, non si può arrivare all'uomo qual era (e quale sempre sarà). Ed è l'artista che ci può dire molte cose sul sacrificio dell'uomo individuale, se non ci riteniamo soddisfatti del messaggio evangelico. Non si deve assolutamente immaginare che esista alcunché di simile a delle idee ereditarie. Su questo non vi può essere discussione. Però esistono possibilità innate di idee, condizioni a priori per la produzione di determinate fantasie, in un certo senso affini alle categorie kantiane. Sebbene queste condizioni innate non producano in sé alcun contenuto, pure conferiscono una forma definita ai contenuti già acquisiti. Facendo parte della struttura ereditaria del cervello esse sono la ragione dell'identità dei simboli e dei motivi mitici in tutte le parti del globo. Le forme inconsce collettive costituiscono lo sfondo oscuro sul quale si staglia in rilievo la funzione di adattamento della coscienza. Viene quasi fatto di dire che tutto ciò che nella psiche ha valore è assorbito nella funzione adattativa, e che quanto è inutile va a costituire quel sottofondo primordiale dal quale, con terrore dell'uomo primitivo, si staccano ombre minacciose e fantasmi notturni che esigono sacrifici e cerimonie che al nostro intelletto biologicamente orientato sembrano futili e prive di senso. Noi ridiamo delle superstizioni dei primitivi, ritenendoci superiori, ma dimentichiamo completamente che subiamo, al pari dei primitivi, la stessa influenza misteriosa di questo sottofondo, di cui siamo pronti a prenderci beffe come di un museo di stupidità. Soltanto, l'uomo primitivo ha una teoria differente, la teoria della stregoneria e degli spiriti. Secondo me è una teoria molto interessante e ragionevole, in realtà più ragionevole delle concezioni accademiche della scienza moderna. Mentre l'uomo di cultura superiore cerca di immaginare che genere di alimentazione meglio si confaccia al suo catarro intestinale di origine nervosa e a quali errori dietetici debba imputarsi l'ultimo accesso di questo, il primitivo, assai correttamente, ne cerca le ragioni psicologiche ed escogita un sistema terapeutico psicologicamente efficace. I processi inconsci esercitano su di noi un'influenza identica a quella che hanno per i primitivi. Noi, non meno di loro, siamo posseduti dai demoni della malattia, la nostra psiche corre lo stesso pericolo di essere colpita da qualche influenza ostile, siamo anche noi ugualmente preda degli spiriti malvagi dei trapassati o vittime di un incantesimo lanciatoci da persone malevole. Solo che a tutte queste cose diamo dei nomi differenti ed è questo l'unico vantaggio che abbiamo sull'uomo primitivo. Come si vede, si tratta di ben piccola cosa, ma è quella che crea tutta la differenza. Quando venne trovato il nuovo nome, per l'umanità fu come liberazione da un incubo. Questo sottofondo misterioso, che fin dai tempi immemorabili modellava nelle ombre notturne della foresta primordiale figure sempre uguali e sempre mutevoli, appare come un riflesso distorto della vita diurna, che raffiora nei sogni e nei terrori della notte. Ombre fluttuanti si accalcano, fantasmi, spiriti dei trapassati, fuggevoli ricordi sfuggiti alla prigione del passato, dalla quale mai alcun vivente ha fatto ritorno, o sentimenti nati da esperienze impressionanti, ora personificati in forme spettrali. Tutto questo sembra essere l'amaro sapore della coppa vuota del giorno, la feccia sgradevole, l'inutile sedimento dell'esperienza. Ma se osserviamo più attentamente, scopriamo che questo sfondo apparentemente ostile invia potenti emissari che influenzano in sommo grado il comportamento dei primitivi. A volte queste forze assumono una forma magica, a volte religiosa, oppure le due forme appaiono inestricabilmente congiunte. Entrambe sono, dopo la lotta per l'esistenza, gli elementi più importanti per la mentalità primitiva. L'elemento spirituale si rivela, attraverso queste, in modo autonomo alla psiche dell'individuo primordiale, i cui riflessi sono puramente animali, sotto un aspetto proiettivo, sensoriale, e noi europei rimaniamo talora colpiti dalla terribile influenza che l'esperienza dello spirito può avere in certi casi sul primitivo, per il quale l'immediatezza sensoriale dell'oggetto si attua anche nel fenomeno spirituale. Egli non pensa un'idea, ma questa gli appare dinanzi agli occni. Compare dinanzi a lui come percezione sensoriale proiettata all'esterno, simile quasi a un'allucinazione o almeno come un sogno estremamente vivo. Per questa ragione in un primitivo il pensiero può sovrapporsi alla realtà sensoriale, a un punto tale che se un europeo si dovesse comportare nella stessa maniera sarebbe preso per pazzo. Queste caratteristiche della psicologia del primitivo, delle quali non posso dare che un cenno, hanno grandissima importanza per la comprensione dell'inconscio collettivo. Possiamo dimostrarlo con una semplice riflessione. Noi europei occidentali, quali esseri civilizzati, abbiamo una storia che risale a circa 2500 anni fa. Prima vi è stato un periodo preistorico, di lunghezza notevolmente maggiore, durante il quale l'uomo raggiunse un livello culturale pari, possiamo dire, a quello degli indiani Sioux. Vengono poi centinaia di migliaia di anni di cultura paleolitica e, prima ancora, un abisso di tempo inimmaginabilmente ampio durante il quale l'uomo si è evoluto dall'animale. Solo una cinquantina ai generazioni fa, molti di noi in Europa non erano superiori ai primitivi. Dunque lo strato di cultura, questa piacevole vernice, deve essere straordinariamente sottile in confronto agli spessissimi strati della psiche primitiva. Però sono questi strati che formano l'inconscio collettivo insieme con i residui dell'animalità che si perdono nel nebuloso abisso del passato. Il cristianesimo ha scisso il barbaro germanico in una metà superiore e una metà inferiore, rimuovendo la parte oscura e addomesticando la parte superiore per adattarla alla civiltà. Però la metà inferiore, oscura, ancora attende la sua redenzione da un secondo processo di addomesticamento. Fino a quel momento essa rimarrà legata alle vestigia dell'età preistorica, all'inconscio collettivo, che va soggetto a una particolare e sempre più forte riattivazione. Via via che la concezione cristiana del mondo va perdendo di autorità, sentiamo che la «bionda bestia» si agita sempre più minacciosamente nel suo carcere sotterraneo, pronta a balzare all'aperto ad ogni istante con conseguenze devastatrici. Se questo fatto interessa il singolo individuo, porta con sé una rivoluzione psicologica; però può anche assumere una forma sociale. Secondo me questo problema non sussiste per gli Ebrei. L'Ebreo già possedeva la cultura del mondo antico, oltre alla quale ha assunto la cultura delle nazioni in mezzo alle quali vive. Per quanto possa parere paradossale, egli ha due culture. È maggiormente addomesticato di quanto non siamo noi, ma è gravemente carente di quella qualità dell'uomo che lo fissa alla terra e trae dal basso nuove energie. Questa qualità ctonica è presente in quantità pericolosa nei popoli germanici. Naturalmente gli europei ariani non ne hanno avuto alcun sentore per molto tempo e forse cominciano ad accorgersene nell'attuale conflitto, ma forse nemmeno ora. L'Ebreo è troppo scarsamente dotato di questa qualità, ma dov'è che egli ha sotto i piedi la sua terra? Il mistero della terra non è né uno scherzo né un paradosso. Basta osservare come in America le misure del cranio e del bacino delle razze europee cominciano a indianizzarsi fin dalla seconda generazione di immigrati. Questo è il mistero della terra americana. La terra di ciascun paese racchiude in sé un analogo mistero. Nella nostra psiche si trova un riflesso inconscio di questo fatto: così come vi è un rapporto della mente rispetto al corpo, il corpo ha un rapporto con la terra. Spero che il lettore mi perdoni questo modo figurato di parlare e cerchi di comprendere uel che intendo dire. Per quanto si tratti di un concetto ben definito, non è facile esporlo. Vi sono delle persone, moltissime persone, che vivono al di fuori e al di sopra del proprio corpo, che fluttuano come ombre incorporee sopra la loro terra, sopra la loro componente terrestre che è il corpo. Altre vivono interamente entro il corpo. Di solito l'Ebreo vive in rapporti amichevoli con la terra, però senza percepirne l'energia ctonica. Sembra che in lui il tempo abbia attutito questa sensibilità, e questo potrebbe spiegare quella particolare necessità dell'Ebreo di ricondurre ogni cosa ai suoi principi materiali; egli ha bisogno di questi principi per controbilanciare la pericolosa influenza della sua doppia cultura. Un briciolo di primitività non gli fa male. Anzi, posso comprendere molto bene come la riduzione, secondo Freud e Adler, di ogni fatto psichico ai primitivi desideri sessuali e all'istinto di potenza ha qualcosa in sé che risulta benefico e piacevole per l'Ebreo, in quanto è una forma di semplificazione. Per questa ragione, forse Freud è nel giusto quando chiude gli occhi dinanzi alle mie obiezioni. Ma queste dottrine specificamente ebraiche sono assolutamente insoddisfacenti per la mentalità germanica. In noi ancora sussiste un autentico barbaro, che non può essere ignorato, le cui manifestazioni non ci sono di giovamento e non sono un piacevole passatempo. Potesse quel popolo imparare la lezione di questa guerra! Il fatto è che il nostro inconscio non può lasciarsi fuorviare da interpretazioni eccessivamente cerebrali e grottesche. Lo psicoterapeuta con una preparazione ebraica non risveglia nella psiche germanica quei residui d'angoscia e stravaganti che risalgono al tempo di Davide, bensì il barbaro di ieri, un essere per il quale ogni cosa diventa improvvisamente seria nel più sgradevole dei modi. Questa fastidiosa caratteristica del barbaro era evidente anche in Nietzsche, certo per esperienza personale, ed è per questo che egli aveva un alto apprezzamento della mentalità ebraica e predicava la danza e la leggerezza e non di prendere sul serio le cose. Però non ci si accorgeva che non è il barbaro che prende le cose sul serio, ma che sono le cose a diventare serie per lui. Egli era preso dal dèmone. E chi prende le cose più seriamente di Nietzsche stesso? Secondo me dovremmo prendere molto sul serio il problema dell'inconscio. Il fortissimo impulso alla bontà e la immensa forza morale del cristianesimo non sono semplicemente un punto a suo favore, ma sono anche una prova dell'esistenza di una controparte repressa e rimossa: l'elemento anticristiano, barbarico. L'esistenza in noi di qualcosa che può volgersi contro di noi, che può diventare un fatto grave per noi, secondo me non è soltanto una caratteristica pericolosa, ma è anche un atteggiamento valido e utile. Essa è una ricchezza ancora intatta, un tesoro incorrotto, un segno di gioventù, una garanzia di rinascita. Ciononostante sarebbe un errore fondamentale valutare l'inconscio per le sue qualità positive, considerandolo come una fonte di rivelazione. L'inconscio è, in primo luogo e prima di ogni altra cosa, il mondo del passato, riattivato dalla limitatezza dell'atteggiamento cosciente. Tutte le volte che la vita si rivolge unilateralmente in una data direzione, l'autoregolazione dell'organismo suscita nell'inconscio un accumulo di tutti quei fattori la cui parte nell'esistenza cosciente dell'individuo è troppo piccola. E per questa ragione che ho concepito la teoria della compensazione dell'inconscio, quale completamento della teoria della rimozione. Il ruolo dell'inconscio è quello di attuare una compensazione al contenuto cosciente del momento attuale. Con ciò non voglio dire che esso sollevi un'opposizione, perché vi sono occasioni in cui la tendenza dell'inconscio coincide con quella della coscienza, quando cioè l'atteggiamento cosciente si avvicina alla condizione ottimale. Quanto più questa tendenza si avvicina a tale condizione, tanto più si riduce l'attività dell'inconscio, il cui valore cala sempre più finché, raggiunto l'optimum, cade a zero. Dunque possiamo dire che, finché tutto va bene, finché un individuo percorre quel cammino che, per lui, è la condizione ottimale, sia individualmente che socialmente, l'inconscio è fuori questione. Il semplice fatto che noi, nel nostro tempo, ci siamo messi a parlare di inconscio, è la prova che non tutto è a posto. Il discorso sull'inconscio non è cominciato con la psicologia analitica; i suoi esordi possono essere fatti risalire ai tempi della rivoluzione francese; i primi indizi si trovano in Mesmer. È pur vero che in quei giorni non si parlava di inconscio ma di «magnetismo animale». Questo non è altro che una riscoperta del concetto primitivo di forza animica o fluido animico, richiamato dall'inconscio attraverso una reviviscenza di forme arcaiche di pensiero. Al tempo in cui il magnetismo animale stava diffondendosi in tutto il mondo occidentale come una vera e propria epidemia di tavolini semoventi, sino ad arrivare, da ultimo, a una reviviscenza della credenza nei feticci (animazione di oggetti inanimati), Robert Mayer intuì la prima concezione dinamica dell'energia, che, provenendo dall'inconscio, penetrò a forza nella sua mente, simile a un'ispirazione, come egli stesso ha scritto, fino ad assurgere al livello di concetto scientifico. Nel frattempo l'epidemia dei tavolini semoventi rompeva gli argini e proliferava nello spiritismo, che è una moderna fede negli spiriti e una reviviscenza della forma sciamanica di religione professata dai nostri remoti antenati. Questo sviluppo di contenuti inconsci riattivati è tuttora in progresso e, negli ultimi decenni, ha portato alla diffusione popolare dello stadio successivo e più elevato, rappresentato dai sistemi eclettici o gnostici della teosofia e dell'antroposofia. Nello stesso tempo ha gettato le basi della psicopatologia francese, in particolare della scuola francese di ipnotismo. Queste, a loro volta, sono diventate le fonti principali della psicologia analitica, che ora cerca di studiare scientificamente i problemi dell'inconscio, quegli stessi fenomeni che le sette teosofica e gnostica hanno reso accessibili alle menti ingenue sotto forma di portentosi misteri. È dunque evidente che, dato questo genere di evoluzione, la psicologia analitica non è un fenomeno isolato, ma rientra in un ben definito contesto storico. Secondo me, il fatto che questo perturbamento o questa reviviscenza dell'inconscio abbia avuto luogo intorno all'anno 1800, deve essere messo in rapporto con la rivoluzione francese, che non fu tanto una rivoluzione politica quanto una rivoluzione spirituale. È stata una colossale esplosione di tutto il materiale infiammabile che si era accumulato fin dall'età dell'Illuminismo. La deposizione ufficiale del cristianesimo, attuata dalla rivoluzione, deve aver fatto una profondissima impressione sul pagano inconscio che è in noi, perché da allora non ha più requie. Nel più grande tedesco del tempo, Goethe, questo elemento pagano potè vivere e respirare e in Hölderlin potè gridare a gran voce la gloria dell'antica Grecia. Dopo di allora la scristianizzazione della concezione del mondo ha compiuto grandi progressi, nonostante occasionali movimenti reazionari. Insieme con questo processo è venuta l'importazione di divinità straniere. Accanto al feticismo e allo sciamanismo già ricordati, la prima importazione è stata quella del buddismo, diffuso da Schopenhauer. Le religioni misteriche hanno avuto rapida diffusione, compresa la forma più elevata di sciamanismo, la Christian Science. Questo quadro ci ricorda vivamente i primi secoli dell'era volgare, allorché Roma cominciò a sentire che i vecchi dei erano ridicoli e provò la necessità di importarne di nuovi e su larga scala. Così come si fa oggi, anche i Romani, in pratica, importavano tutto ciò che potevano trovare, dalla più bassa e squallida superstizione alle più nobili fioriture dello spirito umano. Il nostro tempo ricorda fatalmente quell'epoca: anche durante quella tutto era fuori di posto e l'inconscio emergeva in superficie riportando alla luce cose seppellite fin dai tempi preistorici. Comunque il caos spirituale era forse meno grave allora di quanto non lo sia attualmente. Il lettore avrà notato che mi sono astenuto dal parlare dell'aspetto medico dell'inconscio, ad esempio del problema di come l'inconscio scateni i sintomi nervosi. Comunque ho accennato alla questione nelle pagine precedenti e qui posso trascurarla. In ogni modo, non per questo mi discosto dall'argomento principale, perché la psicoterapia non si occupa soltanto di litigi in famiglia, di amori infelici e simili, ma anche del problema dell'adattamento psicologico in generale e dell'atteggiamento che dobbiamo prendere verso cose e persone come pure verso noi stessi. Il medico che cura il corpo deve conoscere il corpo e il medico che cura la psiche deve conoscere la psiche. Se conosce la psiche solo sotto l'aspetto della sessualità o dell'istinto personale di potenza, vuol dire che ne ha una conoscenza parziale. Naturalmente è una parte che va conosciuta, ma vi sono altre parti ugualmente importanti, specialmente il problema, cui ho già accennato, relativo ai rapporti tra coscienza e inconscio. Un occhio addestrato biologicamente non basta ad afferrare il problema, perché in pratica qui si tratta di più che di una semplice questione di eugenetica e la considerazione della vita umana alla luce della propagazione e della conservazione è troppo limitata. Certamente l'inconscio ci appare sotto aspetti differentissimi; ma finora abbiamo troppo soffermato la nostra attenzione su certe caratteristiche esteriori, per esempio sul suo linguaggio arcaico, prendendolo troppo alla lettera. Il linguaggio dell'inconscio è particolarmente ricco di immagini, come è dimostrato dai sogni, ma si tratta di un linguaggio primitivo, di un fedele riflesso del mondo esterno, variopinto e mutevole. L'inconscio possiede questa natura: è un'immagine compensatoria del mondo. Secondo me non è ammissibile sostenere né che l'inconscio sia di natura puramente sessuale né che sia una realtà metafisica, e nemmeno può essere innalzato al livello di «fondamento universale». Analogamente alla coscienza, esso deve essere inteso come un fenomeno psichico. Noi non sappiamo che cosa sia la psiche più di quanto sappiamo che cosa sia la vita. Si tratta di misteri che si compenetrano a vicenda e ci lasciano nell'assoluta incertezza sulla questione di fino a che punto «io» sono il mondo e fino a che punto il «mondo» è «me». In ogni modo l'inconscio è reale, perché agisce. Vorrei rappresentare l'inconscio come un mondo visto allo specchio: la coscienza ci offre un quadro del mondo esterno, ma anche di quello interiore, che è un'immagine speculare compensatoria del mondo esterno. Ma potremmo anche dire che il mondo esterno è un'immagine compensatoria del mondo interno. In tutti i casi noi ci troviamo nel mezzo tra i due mondi, ovvero in mezzo a due sistemi psicologici di percezione interamente differenti; tra la percezione degli stimoli sensoriali esterni e la percezione dell'inconscio. La nostra rappresentazione del mondo esterno ci fa comprendere ogni cosa come l'effetto di forze fisiche e fisiologiche; la rappresentazione del mondo interiore ci fa comprendere ogni cosa come l'effetto di enti spirituali. In questo caso non è più la gravitazione che tiene uniti gli astri, bensì la mano creatrice del demiurgo; l'amore non è più la conseguenza di uno stimolo sessuale, bensì una predestinazione psichica, e via dicendo. Forse la strada giusta si trova nell'avvicinamento dei due mondi. Schiller pensava di aver trovato questa via nell'arte, in quello che chiamava il «simbolo» dell'arte. Quindi l'artista deve possedere il segreto della via di mezzo. Ma la mia esperienza personale mi na condotto a dubitarne. Sono dell'avviso che l'unione della verità razionale e di quella irrazionale si deve trovare non tanto nell'arte quanto nel «simbolo» in sé. Infatti è l'essenza del simbolo che contiene sia il razionale che l'irrazionale. Il simbolo sempre esprime l'uno attraverso l'altro e li comprende entrambi senza essere né l'uno né l'altro. Da dove trae origine il simbolo? Questa domanda ci conduce all'attività più importante dell'inconscio: funzione creatrice dei simboli. In questa funzione vi è un elemento molto importante, in quanto la sua esistenza è soltanto relativa. D'altro canto la funzione compensatoria è una funzione automatica e naturale dell'inconscio ed è sempre presente. Essa deve la sua esistenza al semplice fatto che tutti gli impulsi, pensieri, desideri e tendenze che si oppongono all'andamento razionale della vita quotidiana, sono elementi cui si nega la possibilità di espressione, che vengono relegati nel sottofondo e finiscono col cadere nell'inconscio. In esso si trova tutto ciò che è stato rimosso e represso, che è stato deliberatamente ignorato e svalutato e che, accumulandosi a poco a poco, col tempo acquista tanta forza da cominciare a esercitare un influsso sulla coscienza. Questa influenza sarebbe diametralmente opposta al nostro atteggiamento cosciente se l'inconscio fosse formato soltanto da materiale rimosso e represso. Ma, come si è visto, le cose non stanno così. L'inconscio racchiude in sé anche le oscure fonti dell'istinto e dell'intuizione. Contiene tutte quelle forze che la semplice ragionevolezza, il decoro e il corso ordinato della vita borghese mai avrebbero potuto ridestare, tutte quelle energie creative che portano 'uomo in alto verso nuovi sviluppi, nuove forme, nuove mete. Pertanto io definisco l'influenza dell'inconscio non semplicemente complementare, bensì compensatrice, dato che arricchisce la coscienza di tutto ciò che è stato escluso dall'inaridimento delle sorgenti dell'intuizione e dalla ricerca preconcetta di una sola meta. Come ho detto, questa funzione opera automaticamente, ma, a causa della ben nota atrofia della pulsione nell'uomo civilizzato, spesso è troppo debole per deviare l'orientamento unilaterale della coscienza verso direzioni nuove, contro la pressione della società. Quindi si è sempre sentita la necessità di mezzi artificiali atti ad aiutare queste forze risanatrici dell'inconscio a svolgere la loro azione. Erano soprattutto le religioni che assolvevano a questo compito. Interpretando le manifestazioni dell'inconscio quali segni divini o demoniaci, rivelazioni o premonizioni, le religioni fornirono certe idee o modi di pensare che determinavano un'inclinazione favorevole. In questa maniera esse si occuparono in modo particolare di tutti quei fenomeni di origine inconscia, che potevano essere sogni, visioni, intuizioni, fantasie, o proiezioni di queste cose in personalità strane ed eccentriche, o processi notevoli di natura organica e inorganica. Questa concentrazione dell'attenzione permetteva ai contenuti e alle energie inconsce di refluire nella vita cosciente, influenzandola e modificandola. Sotto questo aspetto le idee religiose sono un ausilio artificiale che sfrutta l'inconscio conferendo alla sua funzione compen- satoria, che, se trascurata, rimarrebbe inefficace, un più elevato valore per la coscienza. La fede, la superstizione, o qualsiasi idea provvista di un intenso tono emotivo, conferiscono al contenuto dell'inconscio un valore che ordinariamente non possiede, ma che a volte potrebbe conseguire sia pure in una forma quanto mai spiacevole. Dunque, allorché i contenuti inconsci si accumulano in conseguenza dell'essere stati lungamente ignorati, necessariamente vengono ad esercitare un'influenza patologica. Infatti i nevrotici sono tanto numerosi tra i primitivi quanto tra i civili europei. In Africa non sono affatto rari gli africani isterici. Queste spiacevoli manifestazioni dell'inconscio rendono ragione in larga misura della primitiva paura dei demoni e dei riti propiziatori che ne derivano. La funzione compensatrice dell'inconscio naturalmente non contiene in sé una valutazione cosciente, per quanto dipenda integralmente dalla modalità cosciente del pensiero. Tutt'al più l'inconscio può fornire i germi di convinzioni coscienti o della formazione di simboli. Dunque possiamo dire che la funzione creatrice di simboli dell'inconscio esiste e non esiste, a seconda delle condizioni. Essa ha in comune questa paradossale qualità con i simboli in generale. Qui ci torna alla mente l'episodio del giovane rabbino che era allievo di Kant. Un giorno venne un vecchio rabbino per ricondurlo alla fede dei padri, ma tutte le sue argomentazioni risultavano vane. Alla fine il vecchio rabbino trasse il minaccioso sciofar, il corno che si suona per maledire gli eretici (come avvenne con Spinoza) e chiese al giovane se sapeva che cosa fosse. «Certo che lo so» rispose il giovane freddamente. «È un corno di montone.» A queste parole il vecchio rabbino indietreggiò e cadde al suolo in preda all'orrore. Che cosa è lo sciofarì? È anche un corno di montone. A volte un simbolo non è niente di più, però soltanto quando è morto. E il simbolo è ucciso quando siamo riusciti a ridurre lo sciofar a un corno di montone. Ma, inversamente, tramite la simbolizzazione, un corno di montone può diventare lo sciofar. La funzione compensatrice si estrinseca attraverso disposizioni ben definite del materiale psichico, per esempio nei sogni in cui si può non trovare nulla di «simbolico», più che in un corno di montone. Per scoprirne le qualità simboliche si rende necessario un atteggiamento cosciente ben definito, vale a dire la volontà di intendere simbolicamente il contenuto del sogno, in primo luogo come semplice ipotesi, lasciando poi che l'esperienza decida se è necessario od opportuno interpretare il sogno in questo modo. Darò un breve esempio che può giovare a chiarire la difficile questione. Un'anziana paziente, che come molti altri era sconvolta dal problema della guerra, mi raccontò una volta il seguente sogno che aveva fatto poco tempo prima di venire a visitarmi: Stava cantando inni che insistevano in particolare sulla sua fede in Cristo, e tra gli altri l'inno che dice: «Il sangue e la giustizia di Cristo saranno la mia veste festiva e il mio ornamento; così mi troverò io dinanzi al Signore quando il Cielo mi darà la mia ricompensa. Coloro che hanno sempre riposto la loro fiducia in Cristo saranno salvi nel giorno del giudizio». Mentre cantava vide un toro che correva all'impazzata davanti alla finestra. Questo all'improvviso fece un balzo e si spezzò una gamba. Vide che il toro era in agonia e pensò, distogliendo lo sguardo, che qualcuno avrebbe dovuto ucciderlo. A questo punto si destò. L'agonia del toro le richiamò alla mente torture di animali delle quali era stata involontaria testimone. Ella detestava certe cose e ne rimaneva straordinariamente sconvolta a cagione della sua identificazione inconscia con l'animale torturato. In lei vi era qualcosa che poteva essere espressa dall'immagine di un animale torturato. Questa immagine era evidentemente evocata dalla particolare insistenza sulla fede in Cristo degli inni che stava cantando; infatti era durante questi canti che il toro si era imbizzarrito spezzandosi una gamba. Questa strana combinazione di idee condusse immediatamente a un'associazione con la profonda inquietudine religiosa che aveva provato durante la guerra, che aveva scosso la sua fiducia nella bontà di Dio e nella giustezza della concezione cristiana del mondo. Questo shock avrebbe dovuto essere mitigato dall'insistenza sulla fede cristiana dell'inno e invece questo suscitava l'elemento animale nell'inconscio che era personificato dal toro. È proprio questo l'elemento che il simbolo cristiano rappresenta come domato e offerto in sacrificio. Esso, nel mistero cristiano, è l'Agnello sacrificale o, più precisamente, il «piccolo ariete». Nel mitraismo, religione sorella del cristianesimo, e che di questo fu anche il rivale più fortunato, il simbolo centrale del culto non era il sacrificio di un ariete, ma di un toro. La pietra di altare più comune raffigurava la vittoria di Mitra, salvatore divino, sul toro. Pertanto abbiamo un rapporto storico strettissimo tra cristianesimo e sacrificio del toro. Il cristianesimo ha soppresso questo elemento animale, ma nel momento in cui viene scossa la validità assoluta della fede cristiana, quell'elemento ritorna ad apparire sullo sfondo. L'istinto animale cerca di emergere, ma nel farlo si spezza una gamba, in altre parole l'istinto paralizza se stesso. Dagli impulsi puramente animali provengono anche tutti quei fattori che limitano il potere dell'istinto. Dalla stessa radice che produce pulsioni selvagge, indomite, cieche, sorgono anche le leggi naturali e le forme culturali che ne domano e piegano la forza originaria. Ma quando l'animale in noi, essendo stato rimosso, viene escluso dalla coscienza, può facilmente irrompere con tutta la sua forza, sregolata e incontrollata. Un'esplosione di questo genere termina sempre con una catastrofe: l'animale distrugge se stesso. Quel che in origine era pericoloso ora diventa oggetto di pietà, una cosa che na veramente bisogno della nostra compassione. Le terribili forze scatenate dalla guerra portano in sé la propria distruzione perché non vi è mano umana a preservarle e guidarle. La nostra visione del mondo è risultata troppo limitata per poter incanalare queste forze in una forma civile. Se avessi cercato di spiegare alla mia anziana paziente che il toro era un simbolo sessuale, non ne avrebbe tratto alcun vantaggio, anzi, avrebbe invece perduto la sua concezione religiosa senza ottenere alcun miglioramento. In certi casi non è questione di dare questa o quella spiegazione. Se vogliamo adottare un punto di vista simbolico, sia pure semplicemente come ipotesi, vedremo che il sogno è un tentativo da parte dell'inconscio di armonizzare il principio cristiano col suo evidentemente irriducibile avversario, l'istinto animale, ricorrendo alla comprensione e alla compassione. Non a caso il cristianesimo ufficiale non ha rapporti con l'animale. Questa omissione, particolarmente impressionante se si fa un confronto col buddismo, è stata spesso rilevata dalle persone sensibili e ha ispirato un poeta moderno a cantare un Cristo che sacrifica la sua vita per le sofferenze degli animali bruti. L'amore cristiano per il prossimo può anche estendersi all'animale, all' animale dentro di noi, e può circondare di amore tutto quello che una visione rigidamente antropomorfica del mondo ha crudelmente represso. Poiché è stato respinto nell'inconscio, dal quale era stato generato, l'animale in noi non fa che diventare più bestiale ed è certamente questa la ragione per la quale nessuna religione è, più del cristianesimo, bruttata di sangue innocente versato, e per la quale il mondo non ha mai visto guerra più sanguinosa della guerra tra le nazioni cristiane. L'animale represso, quando arriva in superficie, irrompe nella sua forma più selvaggia e il suo processo di autodistruzione conduce al suicidio universale. Se ognuno di noi si trovasse in migliori rapporti con l'animale che è dentro di lui, sapremmo anche dare alla vita un valore più elevato. La vita sarebbe il principio morale assoluto e supremo e l'uomo reagirebbe d'istinto contro qualsiasi istituzione od organizzazione che avesse il potere di distruggere la vita su larga scala. Allora questo sogno semplicemente rivela alla sognatrice il valore del cristianesimo e lo mette in contrasto con una intatta forza naturale che, abbandonata al proprio furore, fa male a se stessa e implora pietà. Un'interpretazione meramente analitica che riconducesse l'emozione religiosa alla rimozione dell'istinto animale, in questo caso sarebbe sterile e inutilmente distruttiva. Se, d'altro canto, affermiamo che il sogno deve essere interpretato simbolicamente e che tenta di offrire alla sognatrice un'occasione di riconciliarsi con se stessa, avremo compiuto il primo passo verso una interpretazione che armonizzerà i valori contraddittori e aprirà una nuova via all'evoluzione interiore. Allora i sogni successivi, sempre secondo questa ipotesi, forniranno i mezzi per comprendere le più ampie implicazioni dell'unione della componente animale con le più elette conquiste morali e intellettuali dello spirito umano. Secondo la mia esperienza è quanto effettivamente accade. Infatti l'inconscio esercita continuamente un'attività compensatrice nei confronti della situazione cosciente attuale. Quindi non è affatto indifferente quale sia il nostro atteggiamento cosciente nei confronti dell'inconscio. Quanto più saremo negativi, critici, ostili o sprezzanti, tanto più esso assumerà questi aspetti e il suo vero valore ci sfuggirà. Dunque l'inconscio ha una funzione creatrice di simboli solo se noi siamo disposti a riconoscere in esso un elemento simbolico. I prodotti dell'inconscio sono semplice natura. Naturam si sequemur ducem, numquam aberrabimus, dicevano gli antichi. Ma la natura in sé non è una guida perché non esiste per comodità dell'uomo. Le navi non sono guidate dal fenomeno del magnetismo. Dobbiamo adoperare la bussola come guida e, per di più, introdurre le necessarie correzioni perché 'ago non punta esattamente verso il nord. Così è della funzione direttiva dell'inconscio. Esso può essere impiegato quale fonte di simboli, però con le indispensabili correzioni coscienti che devono essere apportate a ogni fenomeno naturale per utilizzarlo per i nostri fini. Molte persone troveranno estremamente antiscientifico questo modo di vedere, perché non riescono a individuare in alcun punto la riduzione alle cause fondamentali, che permetta loro di dichiarare con certezza che la tal cosa «altro non è» che questo o quello. Per tutti coloro che cercano di spiegare le cose in questa maniera, la sessualità è molto comoda quale fattore causale. In effetti, nel caso che ho descritto, una spiegazione sessuale potrebbe essere adottata senza molta difficoltà, ma la paziente che vantaggio ne trarrebbe? Per una donna alle soglie della vecchiaia, di che utilità sarebbe una risposta del genere data ai suoi problemi? Oppure la psicoterapia dovrebbe essere riservata a pazienti minori di quarant'anni? Naturalmente potremmo rispondere a nostra volta: che vantaggio deriva alla paziente da una risposta che prende sul serio il problema religioso? E, d'altra parte, che cos'è un problema religioso? E un metodo scientifico, che ha a che fare con la religione? Secondo me è il paziente l'autorità più competente a trattare problemi del genere. Quali che siano le risposte date ad essi, che vantaggio ne otterrà il paziente? Perché mai dovrebbe darsi pena della scienza? Se è una persona religiosa, per lui il rapporto con Dio avrà un significato infinitamente superiore a qualsiasi spiegazione scientificamente soddisfacente, proprio come per il malato, quando si sente bene, è del tutto indifferente come si senta bene. Il nostro paziente, anzi qualunque paziente, è curato correttamente soltanto quando è curato in quanto individuo. Questo significa approfondire i suoi problemi particolari e non già dargli una spiegazione basata su principi «scientifici» che per lui non hanno alcun significato, anche se sono biologicamente correttissimi. Secondo me il primo dovere dello psicologo scientifico sta nel mantenersi aderente ai fatti vitali della psiche, nell'osser- vare con esattezza questi fatti, aprendosi in tal modo a quelle esperienze più profonde delle quali non ha assolutamente alcuna conoscenza. Dunque, quando questa o quella psiche individuale ha un conflitto sessuale, mentre un'altra na un problema religioso, il vero scienziato dovrà innanzitutto riconoscere l'evidente differenza tra di loro. Egli si dedicherà tanto al problema religioso quanto a quello sessuale, senza tener conto se il suo credo di biologo ammetta o non ammetta le divinità. Il ricercatore veramente scevro da pregiudizi non permetterà che le sue credenze personali influenzino o deformino in qualsiasi modo il materiale che si trova dinanzi a lui, e il materiale patologico non rappresenta un'eccezione. Oggigiorno considerare un conflitto nevrotico come esclusivamente sessuale o esclusivamente legato al desiderio di potenza è una manifestazione di inammissibile ingenuità. Questo è un modo di procedere tanto arbitrario quanto l'affermazione che non esiste nulla di simile all'inconscio e che non vi sono conflitti nevrotici. Quando, volgendoci intorno, vediamo quale possa essere la potenza delle idee, dobbiamo ammettere che esse debbano essere altrettanto possenti entro la psiche dell'individuo, tanto se ne è cosciente quanto se non lo è. Nessuno dubita che la sessualità è un fattore psicologicamente efficace e nemmeno si può dubitare dell'efficacia psicologica delle idee. Tra il mondo delle idee e quello delle pulsioni vi è, però, una differenza polare, di modo che di solito soltanto uno dei due poli è cosciente. Allora l'altro polo domina nell'inconscio. Così, quando un individuo qualunque nella sua vita cosciente è completamente in balia della pulsione, il suo inconscio conferirà un'importanza assolutamente sproporzionata al valore delle idee. E poiché l'influenza dell'inconscio alla fine raggiunge indirettamente la coscienza, e ne determina occultamente l'atteggiamento, ne scaturirà una formazione di compromesso: la pulsione diventa inconsapevolmente una idea fissa, perde il suo valore reale e l'inconscio la fa assurgere alla dignità di principio universale, ma unilaterale. Spesse volte vediamo accadere l'opposto, allorché un individuo assume coscientemente una posizione nel mondo delle idee ed è costretto poco per volta a sperimentare il fatto che la pulsione trasforma segretamente le sue idee in strumenti di desideri inconsci. Poiché il mondo contemporaneo e i suoi giornali ci offrono lo spettacolo di una gigantesca clinica psichiatrica, ogni osservatore avveduto ha moltissime occasioni di vedere realizzate sotto i suoi occhi queste affermazioni. Un principio di importanza fondamentale nello studio di questi fenomeni è già stato messo in luce dalla psicologia analitica: cioè che l'inconscio di un individuo viene proiettato su un altro individuo, per cui quello accusa questo di cose che non vede in se stesso. Questo principio ha una validità generale talmente impressionante che sarebbe bene che ognuno di noi, prima di burlarsi degli altri, si fermasse un momento e considerasse con attenzione se non è per caso lui stesso ad avere la trave nell'occhio. Questo soliloquio apparentemente privo di importanza rivela una delle più importanti caratteristiche dell'inconscio. In realtà questa è presente dinanzi ai nostri occhi in tutti i suoi aspetti ed è accessibile in qualunque momento all'osservazione. La ragione di questa qualità paradossale è che l'inconscio, in quanto attivato in ogni caso da piccole quantità di energia, è proiettato su certi oggetti più o meno idonei. Il lettore domanderà come si faccia a saperlo. L'esistenza delle proiezioni è stata riconosciuta a poco a poco quando fu scoperto che il processo di adattamento psicologico era costellato da perturbamenti e difetti, la causa dei quali sembrava trovarsi nell'oggetto. Una ricerca più accurata mise in luce che la «causa» era un contenuto inconscio del soggetto, che, non essendo riconosciuto da quest'ultimo, si trasferiva apparentemente sull'oggetto, e quivi ingrandiva una delle sue caratteristiche a proporzioni tali da parere una causa sufficiente al determinismo del disturbo. Il fenomeno della proiezione fu scoperto per la prima volta nei disturbi dell'adattamento psicologico. Più tardi fu ravvisato anche in ciò che promuoveva l'adattamento, vale a dire nelle qualità evidentemente positive dell'oggetto. Erano dunque le qualità più valide della stessa personalità del soggetto, trascurate da quest'ultimo, che apparivano nell'oggetto rendendolo particolarmente desiderabile. Ma la piena importanza di queste proiezioni dell'inconscio fu riconosciuta tramite l'analisi di quelle intuizioni ed emozioni, oscure e inspiegabili, che conferiscono una determinata qualità impalpabile e magica a certi luoghi, a certi aspetti della natura, a certe opere d'arte e anche a certe idee e persone. Questa caratteristica magica proviene parimenti dalla proiezione, una proiezione, però, dell'inconscio collettivo. Se si tratta di oggetti inanimati che possiedono la qualità «magica», spesso la loro solo frequenza statistica basta a provare che il loro significato dipende dalla proiezione del contenuto mitologico proveniente dall'inconscio collettivo. In massima parte tali contenuti ci sono già noti dai miti e dalle favole. Vorrei ricordare, come esempio, la casa misteriosa in cui abita una strega o un mago, dove si commette o è stato commesso un delitto mostruoso, dove si trova un fantasma, dove è seppellito un tesoro nascosto e così via. La proiezione di questa immagine primordiale è riconoscibile nell'episodio di una persona che, un dato giorno, si imbatte in qualche modo in questa casa misteriosa, cioè quando, in altri termini, una casa reale, ma del tutto comune, fa a questa persona un'impressione magica. Inoltre, in genere, tutta l'atmosfera del luogo sembra simbolica e, quindi, è la proiezione di un sistema inconscio coerente. Questo fenomeno si osserva magnificamente sviluppato nell'uomo primitivo. Il paese che abita è anche la topografia del suo inconscio. In quell'albero maestoso abitano gli dei del tuono; questa sorgente è infestata dalla Vecchia; in quel bosco è sepolto il re leggendario; presso quella roccia nessuno può accendere il fuoco perché è la dimora di un demonio; in quell'ammasso di pietre laggiù albergano gli spiriti degli antenati e quando qualunque donna passa di là deve mormorare in fretta una formula di scongiuro, altrimenti rimarrà incinta, perché uno degli spiriti potrebbe facilmente penetrare nel suo corpo. Ogni sorta ai oggetti e di segnali indicano questi posti, e un pio timore reverenziale circonda i luoghi segnati. Dunque l'uomo primitivo vive contemporaneamente nel suo paese e in quello del suo inconscio. Ovunque l'inconscio appare ai suoi occhi, vivo e reale. Com'è differente il nostro rapporto con la terra in cui viviamo! Il primitivo è accompagnato in ogni suo passo da sentimenti a noi totalmente estranei. Chi sa che significato hanno per lui il grido di un uccello o la vista di un vecchio albero! Un intero mondo di sentimenti ci è precluso ed è sostituito da un pallido estetismo. Comunque, il mondo dei sentimenti primitivi non è interamente perduto per noi: vive nell'inconscio. Quanto più ci discostiamo da esso con il nostro illuminismo e la nostra superiorità razionale, tanto più esso sfuma nella lontananza, ma viene sempre più potenziato da tutto ciò che precipita in esso, respinto aal nostro limitato razionalismo. Questo perduto angolo di natura grida vendetta e si ripresenta in forma contraffatta e distorta, per esempio come un'epidemia di tango, o come Futurismo o Dadaismo, o tutte le altre voghe ed eccentricità di cui è piena questa nostra età. Persino la diffidenza del primitivo nei confronti della tribù confinante, che pensavamo di aver superato da molto tempo grazie alla nostra organizzazione globale, si è ripresentata in questa guerra, enormemente ingigantita nelle sue proporzioni. Non si tratta più di incendiare il villaggio dei vicini o di far rotolare qualche testa; interi paesi sono devastati e milioni di persone trucidate. Alla nazione nemica viene tolto ogni rimasuglio di decenza, e le nostre stesse colpe appaiono fantasticamente ingrandite negli altri. Dove sono, oggi, le menti superiori capaci di riflessione? Se pure esistono nessuno presta loro attenzione: invece vi è un amok diffuso ovunque, una fatalità universale contro il cui strapotere l'individuo è impotente a difendersi. Eppure di questo fenomeno collettivo è anche responsabile l'individuo, perché le nazioni sono formate da individui. Pertanto l'individuo deve sapere con quali mezzi può combattere il male. Il nostro atteggiamento razionalistico ci porta a credere di poter operare meraviglie con organizzazioni internazionali, legislazioni e altri sistemi ben congegnati. Ma in realtà solo un cambiamento dell'atteggiamento individuale potrà portare con sé un rinnovamento dello spirito delle nazioni. Tutto comincia con l'individuo. Vi sono teologi benpensanti e spiriti umanitari che vogliono spezzare la volontà di potenza... negli altri. Dobbiamo cominciare a spezzarla in noi stessi. Solo allora la cosa diventerà credibile. Dobbiamo ascoltare la voce della natura che ci parla dall'inconscio. Allora ciascuno sarà talmente preoccupato per se stesso che cesserà di tentare di far andare il mondo per il suo giusto verso. Il profano può rimanere un po' stupito perché ho introdotto questi problemi generali nella mia trattazione di un concetto psicologico. Non sono, come potrebbe parere, una digressione fuori tema, ma sono una parte essenziale di esso. Il problema dei rapporti tra coscienza e inconscio non è un problema particolare, ma un problema intimamente legato alla nostra storia, al tempo presente, e alla nostra concezione del mondo. Moltissime cose sono per noi inconsce soltanto perché non c'è posto per loro nella nostra concezione del mondo; a causa della nostra educazione e istruzione non siamo mai venuti in contatto con esse e, tutte le volte che sono entrate nella nostra coscienza come occasionali fantasie, noi le abbiamo immediatamente represse. La linea di confine tra conscio e inconscio è in gran parte determinata dalla nostra concezione del mondo. Ecco perché dobbiamo parlare di problemi generali se vogliamo trattare adeguatamente il concetto di inconscio. Se dobbiamo comprenderne la natura, non ci dobbiamo preoccupare solo di problemi contemporanei, ma anche della storia della mente umana. La retta comprensione dell'inconscio è un problema la cui importanza è sia pratica che teorica. Infatti, proprio come fino ad ora la nostra concezione dell'inconscio è stata un fattore essenziale nel dar forma all'inconscio stesso e ai suoi contenuti, il rimodellamento delle nostre concezioni in armonia con le forze attive dell'inconscio ci si presenta come una necessità pratica. E impossibile guarire permanentemente una nevrosi con una medicina individuale, perché l'uomo non può esistere quale individuo isolato fuori del consorzio umano. Il principio sul quale egli edifica la sua vita deve essere generalmente accettabile, altrimenti mancherà di quella moralità naturale indispensabile all'uomo quale membro del gregge. E tale principio, se non è lasciato nell'oscurità dell'inconscio, diventa una concezione del mondo predeterminata che sarà sentita come una necessità da tutti coloro che hanno l'abitudine di esaminare coscientemente i propri pensieri e azioni. Questo può spiegare perché ho accennato a problemi, ciascuno dei quali richiederebbe, per essere sviscerato, più di un cervello e più di una vita. |